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02. 05. 2024 11:48

Italia 70 – I nuovi mostri, parla Massimiliano Gioni (Fondazione Nicola Trussardi): «Vivere ed essere nell’arte, sempre»

La mostra spiegata dal direttore: «Ne esce un mondo immaginario molto ricco e stratificato»

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Fondazione Nicola Trussardi si riappropria dei muri della città. A vent’anni dal pionieristico progetto I NUOVI MOSTRI – UNA STORIA ITALIANA, che aveva disseminato tra le strade di Milano centinaia di immagini create da 16 artisti, la Fondazione abiterà nuovamente gli spazi urbani della città con il progetto ITALIA 70 – I NUOVI MOSTRI.

Settanta artisti sono stati invitati a creare un’immagine da riprodurre su centinaia di manifesti, che per due settimane tappezzeranno le vie della città. Curatore del progetto è Massimiliano Gioni, direttore di Fondazione Nicola Trussardi dal 2003, che ha curato numerose mostre internazionali e biennali d’arte.

Gioni, ITALIA 70 – I NUOVI MOSTRI ripropone un progetto di vent’anni fa. Qual era l’obiettivo di allora e qual è l’obiettivo di oggi?
«Nel 2004 era un progetto più piccolo, e in un certo senso, più mirato a identificare una nuova generazione di giovani artisti. C’erano solo 16 artisti e per lo più tutti appartenenti alla stessa generazione. Questa volta – sarà che siamo cresciuti noi come Fondazione o forse è anche cresciuto l’interesse dell’arte contemporanea a Milano, anche grazie al nostro lavoro – abbiamo deciso di includere 70 artisti e di espandere la partecipazione a grandi maestri, come Giuseppe Penone, Giulio Paolini, Grazia Varisco e Marina Apollonio, e ad artisti molto più giovani, passando poi per figure più affermate, come Maurizio Cattelan, Vanessa Beecroft, Rudolf Stingel e tanti altri. Ne è uscita una specie di biennale su carta o un museo a cielo aperto, che fornisce un’istantanea dell’arte di oggi e forse anche una radiografia dello stato d’animo di una nazione vista attraverso le opere dei suoi artisti».

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Con quale criterio sono stati scelti gli artisti?
«Non mi piace tanto pensare a criteri rigidi quando si preparano mostre. Di solito rispondo che è un po’ come scegliere amici o fidanzate o mariti: non si tratta di criteri o parametri fissi, ma di un complesso di sentimenti e simpatie. Oppure è come organizzare una grande festa: si pensa a ospiti che possano divertirsi insieme e che si completino a vicenda. Nel caso specifico di questa mostra, poi, c’era il contesto pubblico e, quindi, abbiamo invitato gli artisti a concepire o scegliere immagini che potessero non solo sopravvivere nel contesto urbano ma anche confrontarsi con pubblicità e altre immagini metropolitane. E l’altra cosa che abbiamo chiesto è stata di raccontarci l’Italia di oggi, attraverso le loro immagini».

Nella sinossi della mostra diffusa è scritto che “rivela desideri e inquietudini dell’Italia di oggi”: quali sono?
«Mi ha sorpreso (e intristito) che ci fossero molti riferimenti qui e là alla violenza contro le donne, che evidentemente è un fenomeno che tiene in scacco l’immaginazione di molti artisti – ed evidentemente di molti italiani. Ne parlano, in maniera più o meno esplicita le opere di Yuri Ancarani, Grazia Varisco, Maria Rapicavoli e, indirettamente, forse anche le opere di Giangiacomo Rossetti e altri. C’è poi una nuova coscienza sul passato dell’Italia, in particolare il passato coloniale italiano, nelle opere di Armin Linke e, in un certo senso, di Binta Diwan e Alessandra Ferrini. Ci sono molte opere che parlano di guerra, in maniera più o meno esplicita come, ad esempio, i contributi di Roberto Cuoghi e Tommaso Binga. E chi invece pensa a monumenti e figure storiche, come Adelita Husni Bey e Giulia Andreani e Elisa Sighicelli. Ma ci sono anche momenti di gioia e ironia, di nostalgia, di ricordi infantili e nuove speranze. Penso ne esca un mondo immaginario molto ricco e stratificato».

Fondazione Trussardi è pioniera dell’arte pubblica. Perché lasciare la “comfort zone” dei luoghi deputati all’arte?
«Celebre è la massima di Robert Filiou, artista Fluxus che diceva che l’arte “È ciò che rende la vita più interessante dell’arte”. È un bel paradosso che ci invita a pensare che l’arte debba vivere ovunque, non solo nei musei ma anche nelle strade e che proprio attraverso il confronto quotidiano con la vita, l’arte può esprimere tutto il suo potenziale, e avere la sua influenza forse più salutare. I grandi artisti Gilbert e George – uno dei quali peraltro è italiano – hanno sempre ripetuto: “Essere con l’arte è tutto ciò che vogliamo”. Ecco, portando l’arte contemporanea fuori dai luoghi deputati e rendendola disponibile a tutti – e sempre gratuitamente – vogliamo offrire a tutti la possibilità di vivere ed essere nell’arte, sempre».

Com’è cambiato il mondo dell’arte da quando lei ha iniziato?
«Non vorrei essere troppo egocentrico o autocelebrativo, ma credo davvero che la Fondazione Nicola Trussardi abbia contribuito in maniera significativa a espandere il pubblico dell’arte in questi ultimi vent’anni. Lo abbiamo fatto non solo attraverso le nostre mostre sempre gratuite e che hanno riaperto palazzi ed edifici dimenticati – spesso restaurati a spese della Fondazione – ma l’abbiamo fatto portando anche l’arte sui giornali, nelle televisioni. Anche in occasione di questo nuovo progetto, l’arte torna a far parlare di sé nelle pagine dei giornali a causa delle opere di Maurizio Cattelan e Giangiacomo Rossetti che non sono potute essere incluse nel progetto, perché ritenute troppo forti… Ecco, queste conversazioni sono salutari e importanti. Purtroppo, non si parla mai di pubblicità orribili o di vari monumenti che deturpano lo spazio pubblico: invece, attraverso il nostro lavoro credo che si innalzi anche il livello di attenzione nei confronti dello spazio urbano. Appassionarsi all’arte, avere accesso all’arte, significa anche imparare a guardare il mondo in maniera diversa».

Come si colloca Milano nel panorama dell’arte contemporanea internazionale? Quali saranno gli sviluppi nell’immediato futuro?
«Milano è sempre stata la città più contemporanea di Italia. “Caffeina d’Europa” la chiamavano i Futuristi. E così rimane. miart poi dà sempre una bella scossa alla città e quest’anno le mostre collaterali tra gallerie, fondazioni e musei, sono bellissime, complice forse anche la vicinanza con la Biennale».

Qual è il suo rapporto con la città di Milano?
«Da provinciale, nato e cresciuto a Busto Arsizio, ho sempre guardato a Milano con invidia e affetto. Poi sono andato a vivere all’estero da adolescente e, quindi, a quel punto magari la desideravo più internazionale e cosmopolita. Ma rimane la mia città del cuore e nella quale, spero, le mostre della Fondazione Trussardi abbiano ancora il ruolo di gettare scompiglio».

Quali sono i luoghi artistici, istituzionali e non, più interessanti di Milano?
«Ce ne sono tantissimi e basta guardare ai luoghi dove abbiamo portato le mostre della Fondazione Trussardi. Le ultime due mostre – al Teatro Gerolamo e alla piscina Romano – raccontano due Milano diverse e bellissime. È bello vedere che Nari Ward torni a Milano, ma che – come sempre – abbiamo fatto da apripista e introdotto un artista bravissimo alla città».

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