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08. 07. 2024 12:53

Davide Oldani, un nuovo D’O e uno sguardo a Parigi 2024: «Vivo di visioni pop»

A tu per tu con lo chef Davide Oldani, allievo di Gualtiero Marchesi, milanese di San Siro e interista, uomo concreto che vuole essere (e lo è, senza dubbio) un esempio per i giovani che desiderano fare il suo mestiere

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Quando nel 2003 Davide Oldani aprì i battenti del D’O a Cornaredo la comunicazione spinta del cibo era ancora di là da venire, gli chef non facevano ancora notizia e l’importanza della ricerca dell’ingrediente albergava solo nella mente di una cerchia ristretta di illuminati.

Questo non impedì a Oldani, allora trentaseienne e già passato in alcune cucine di grido, di catalizzare l’attenzione per quel concetto di cucina pop tanto semplice quanto rivoluzionario nell’essenza. Un concetto mai rinnegato, anzi amplificato nella forma e nella sostanza mentre tutto intorno tutto cambiava a incredibile velocità.

«Per me il pop è un modo di essere, di vivere e di cucinare traslato dalla vita al piatto. Credo che nella vita non possa non esserci un collegamento tra quello che fai nel lavoro e ciò che si è. È tutto un amalgama di ingredienti che consentono di comporre la ricetta della vita e ti permette di viverla bene», ammette lo chef che ha da poco celebrato i vent’anni del D’O con il libro manifesto Visioni pop. Una passione lunga 20 anni.

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Le Visioni pop di Davide Oldani

Che visioni racconta?
«Quelle che ho testato sulla mia pelle e mi hanno aiutato nella mia attività e nella mia vita. Credo che se hanno funzionato su di me, possano essere utili per i giovani, per i miei ospiti. Sono le visioni che hanno fatto evolvere il D’O e mi hanno fatto arrivare all’apertura di Olmo (la seconda insegna di Oldani, che da pochi mesi affianca a poca distanza il D’O, ndr) che mi riporta un po’ alle origini del primo D’O».

Come definisce Olmo?
«Un nuovo ristorante molto democratico di cui lasciamo la definizione ai nostri ospiti. Noi lo presentiamo come un ristorante dalla cucina accessibile (abbiamo anche un piccolo menù pranzo infrasettimanale a prezzi contenuti) in cui la qualità è uguale al D’O, ma i piatti sono diversi e ben definiti».

Quando parla di cucina accessibile, cosa intende?
«Che il costo è comparato alla qualità offerta. Per me caro vuol dire che il prezzo non è attinente alla qualità e al prezzo degli ingredienti e del servizio. Ovviamente il concetto di accessibilità è differente da una persona all’altra, ma credo che fino a quando si continueranno a tenere aperte le sale da gioco che attirano le persone più deboli, ci sarà qualcosa di sconnesso nella società».

Anche il D’O è accessibile?
«Sì, chiunque voglia entrarci può farlo, a pranzo si possono ordinare anche solo 2 o 3 piatti. E l’accoglienza è sempre la stessa, accompagnata da un sorriso, sia che ordinino 2 piatti e un bicchier d’acqua sia che ordinino una degustazione con grandi vini. I clienti sono importanti tanto quanto chi lavora con me, che non chiamo dipendenti perché – se ci pensate bene – sono io che dipendo da loro e non il contrario. A tutti loro, essendo il più anziano, do l’esempio rispettandoli e lavorando più di chiunque altro».

Quindi sposa la posizione dei lavoratori della ristorazione che rivendicano tempo libero?
«Credo di averlo dimostrato nel quotidiano. Sono convinto che si stia facendo un ottimo lavoro in materia tra Governo, e associazioni, tra cui la FIPE con il presidente Stoppani, per far sì che tra qualche anno anche questo settore sia legislato in maniera più corretta. Bisogna essere solo pazienti».

Considera ancora Gualtiero Marchesi il suo papà gastronomico?
«Sì, non rinnego nulla di quello che ho fatto nella vita, rinnegare non è nel mio carattere. Mi prendo sempre benefici e responsabilità di quello che faccio nella vita».

È vero che il fine dining sta facendo il suo corso e ci sarà il ritorno alla trattoria?
«Dico che potrei accettare questo ritorno solo se parliamo di trattoria professionale, diversa da quella degli anni ’70-’80 che ha fatto il suo tempo».

La sua è una cucina di contrasti, la attirano anche nella vita?
«In cucina mi attira il caldo-freddo, nella vita le cose che riesco a ottenere, impegnandomi. Penso ai tavoli del ristorante che ho voluto fuori dai canoni normali: un rischio che ho deciso di correre disegnandoli in prima persona, come tanti altri “oggetti” di uso comune nei miei ristoranti. Un altro rischio è l’educazione dei figli: trovare motivazioni per loro, essere pronti ad aiutarli e seguirli fino al punto giusto, non oltre».

Davide Oldani
Davide Oldani

Lei dice di non credere nei sogni, ma ne ha realizzati tanti.
«Non sono sogni, ma desideri. I sogni svaniscono al risveglio, i desideri resistono».

Concreto come un milanese doc.
«Sono nato nella parte nord-ovest di Milano, in zona San Siro. Per me Milano è la città del cuore, quella dove da ragazzo era bello andare allo stadio, a visitare un museo. Ancora oggi per me andare a Milano da Cornaredo, dove vivo e lavoro, è sinonimo di bellezza».

Vivere a Milano sarebbe complicato?
«No, però perderei quel senso di viaggio che mi fa dire “la mia Milano”. Ci sono zone come corso Magenta o San Siro che mi fanno tornare giovane».

Lei è interista conclamato, perché ha scelto l’Inter?
«Come tradizione vuole, se il papà ti porta a vedere l’Inter, come ho fatto anche con mia figlia, cominci ad avere simpatia per quel bel colore».

Se sua figlia le portasse a casa un ragazzo milanista?
«Lo prenderemo per la gola provvedendo a fargli cambiare idea… magari con dei buoni piatti».

Milano è ancora la culla dell’alta cucina, visto che accoglie quasi tutti i “Marchesi boy” compreso lei?
«Credo di sì. Milano è produttiva: è una città che prende il caffè e non beve il caffè, differenza molto sottile ma sostanziale. Come altre città ha la forza di vivere sulla parte culturale, sulla new economy, sulla moda, sulla cucina, e anche se è meno storica di Roma e Firenze riesce a farsi apprezzare».

Nel 2008 ha ricevuto l’Ambrogino d’Oro, cosa ha pensato in quel momento?
«È stato un fulmine a ciel sereno, non avrei pensato mai di riceverlo, poi sentendo le motivazioni ho detto che ci poteva stare. È stata soprattutto una sorpresa vedere contento mio papà».

Oltre le 2 stelle Michelin è arrivata anche la Stella verde, come declina la sostenibilità?
«In chiave umana, con il buon esempio: alla fine di ogni servizio ringrazio tutti i ragazzi. E poi m’impegno a rendere accessibile questo mestiere senza far demotivare chi studia per entrare nel settore. Da 75mila iscritti alle scuole alberghiere negli ultimi anni si è arrivati a 35-36mila, bisogna capire il perché di questo calo. Il calo c’è anche all’Istituto Alberghiero Olmo di Cornaredo dove sono mentore: spiego ai giovani cosa vuol dire scegliere e conoscere la materia prima».

Pensa di replicare uno dei suoi format fuori Cornaredo, magari a Milano?
«Adesso siamo concentrati su Olmo, D’O, Next D’Oor che è il laboratorio di panificazione per i nostri locali, e Davide Oldani Cafè a Malpensa, che ha già 12 anni».

Cucinerà a Casa Italia alle Olimpiadi di Parigi. È felice?
«È motivante, ho sempre giocato a tennis e calcio su cui avevo pensato di fare carriera prima di lasciare per alcuni infortuni. Tra una settimana avremo pronto il menù, ci saranno piatti iconici italiani, da Nord a Sud, dal pane al vino. Porterò alcuni dei miei ragazzi che sono già venuti a Rio».

Tra i personaggi famosi alla sua tavola, c’è qualcuno che ricorda più di altri?
«Qualche giocatore è venuto ad assistere alla nostra “partita”, come Barella che a me piace molto: è interessato al mondo del cibo e del vino, ha una grande cultura e mi apre il cuore vedere un giovane calciatore affermato che abbia questa tipo di cultura».

Cosa baratterebbe della sua cucina per un’altra Champions League dell’Inter?
«Con il fatto che continuano a cambiare i vertici bisogna che si guadagnino credibilità, non so se sarei disposto a barattare (ride, ndr)».

Il prossimo desiderio della sua agenda?
«Sarò banale ma vorrei che le persone che mi vogliono bene stessero bene. La vita è fatta di relazioni e te ne rendi conto quando sei più grande, per me è importante che i rapporti umani, ancora prima del lavoro, siano corretti. Quindi auguro a queste persone che mi vogliono bene e fortunatamente ci sono, che stiano bene. Così sto bene anche io».

Davide Oldani in 6 date

1967
Davide Oldani Nasce a Milano da genitori di Cornaredo. «Sono orgoglioso che nel mio codice fiscale ci sia scritto F205», dice. Da ragazzo frequentava l’alberghiero e sognava un futuro nel calcio, ma un infortunio deviò il suo percorso. Comincia in cucina da Gualtiero Marchesi in via Bonvesin de la Riva.

1987
Lascia l’Italia per Londra per andare a lavorare a Le Gavroche con Albert Roux. Seguiranno l’Hotel de Paris di Montecarlo con Alain Ducasse e La maison Fauchon con Pierre Hermé. Nel frattempo torna a lavorare con Marchesi che lo fa viaggiare nei suoi ristoranti all’estero.

2003
Apre il D’O a Cornaredo, il paese dei suoi genitori Bruno e Luigia, proponendo quella che definisce cucina Pop, ovvero alta cucina con ingredienti di uso comune a prezzi popolari. Due anni dopo, nel 2005, ottiene la prima stella Michelin.

2008
Gli viene conferito l’Ambrogino d’Oro perché “grazie alla sua capacità di interpretare al meglio la cucina contemporanea è diventato un punto di riferimento nella ristorazione milanese” e perché “nel suo ristorante esalta la cucina del territorio milanese, proponendo piatti caratterizzati da una costante ricerca e dall’uso di ingredienti di alta qualità”.

2021
Raddoppia il macaron della Michelin e ottiene la stella Verde.

2024
Forbes lo inserisce al 10° posto della classifica dei 25 chef più influenti d’Italia i cui criteri sono stati definiti da Maddalena Fossati Dondero, direttrice de La Cucina Italiana.

Il piatto signature di Davide Oldani: l’evoluzione della cipolla

La nuova Cipolla caramellata
La nuova Cipolla caramellata

Tra i piatti signature di Davide Oldani c’è la Cipolla caramellata, oggi evoluta in una versione 4.0. «La cucina si evolve e così i nostri piatti – dice Davide Oldani -. La cipolla caramellata con salsa calda di grana padano e una quenelle di gelato anch’esso al grana che è stato uno dei piatti pop più riconoscibili lo abbiamo realizzato in chiave più moderna, più delicata. Gli ingredienti sono gli stessi, ma lavorazione e impiattamento sono diversi… perché less is more».

Un altro dei suoi piatti simbolo è Zafferano e riso alla milanese, evoluzione del piatto meneghino per eccellenza, inserito tra i must have di Expo 2015. «Ho tradotto la classicità usando il riso, cotto senza soffritto solo con acqua, come un foglio bianco al quale aggiungere solo alla fine una crema profumata allo zafferano che ne esalta l’odore e la leggerezza dei pistilli».

D’O
Piazza della Chiesa, 14
San Pietro all’Olmo, Cornaredo (Mi)
02.93.62.209
cucinapop.do

OLMO
Piazza della Chiesa, 7
San Pietro all’Olmo, Cornaredo (Mi)
335.70.46.596
cucinapop.do

DAVIDE OLDANI CAFÈ
Aeroporto di Milano Malpensa

In breve

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