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18. 10. 2024 10:29

Il Cerchio chiude dopo 55 anni di attività, Riccardo Donati: «Costretti a cessare, i clienti ci mandano messaggi di solidarietà»

Dal 20 luglio lo storico ristorante di via Galvani che ha dato da mangiare ad artisti e politici, abbassa la saracinesca per decisione della proprietà

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Discende da una dinastia di ristoratori, non di imprenditori della ristorazione, questo Riccardo Donati, gestore de Il Cerchio, tiene a sottolinearlo perché fare il ristoratore vuol dire mettersi anche in ascolto del cliente, che, invece, nelle grandi catene è un numero. Ma chi è Riccardo Donati? Insieme al cugino Fabio è il gestore del ristorante Il Cerchio di via Galvani, che il 20 luglio – dopo 55 anni di attività – abbasserà per sempre la saracinesca. La scelta non stata fatta da loro, ma della proprietà. «È una mazzata incredibile. Ci viene da piangere», ammette Riccardo con la voce rotta per il dispiacere.

Il Cerchio, il gestore Riccardo Donati: «Non ci siamo neanche seduti al tavolo per parlare come era solito fare alla scadenza del contratto. Sei mesi fa abbiamo ricevuto la raccomandata e stop»

Il Cerchio

Lei e suo cugino Fabio venite da una famiglia di ristoratori.
«I primi del ‘900 nonni e zii lasciarono la Toscana per trasferirsi a Milano. I primi 2 ristoranti che hanno aperto sono stati il Cavallini (la sorella di mia nonna) e il Chiavacci (mia nonna). Poi nel 1945 sono arrivati anche i miei genitori e quelli di Fabio. Il Cerchio è stato aperto dai genitori di Fabio e da un altro zio. Io, prima, ero in via Mauro Macchi con l’Osteria Cavallini, che ho venduto nel 1992. Nello stesso anno i miei zii sono andati in pensione e io ho iniziato a lavorare insieme a Fabio qui a Il Cerchio».

Come mai questa scelta da parte della proprietà?
«I motivi non li sappiamo. So che cambieranno la destinazione d’uso, io presumo che sia subentrato un terzo fattore, penso che qualcuno abbia messo gli occhi sulla nostra attività per fare altro. Si figuri che…».

Dica…
«Dopo 55 anni, neanche ci siamo seduti al tavolo per parlare come era solito fare alla scadenza del contratto. Sei mesi fa abbiamo ricevuto la raccomandata e stop. Nei mesi successivi abbiamo scritto ai proprietari, ma ci hanno risposto che per loro valeva quanto scritto sulla lettera che avevano inviato».

I clienti cosa le hanno detto quando hanno saputo?
«I clienti ci vengono a salutare, mi mandano messaggi. Sono già venuti due clienti della Regione e anche un dottore che dalla Brianza è venuto qui solo per salutarci».

Tanti personaggi sono passati dal suo locale, chi l’ha colpita di più?
«Sono affezionato a Bruno Bozzetto, negli anni con lui ho stretto una vera amicizia. Abbiamo un rapporto squisito, parliamo di qualsiasi cosa, ci confrontiamo su tanti temi. Pensi che per i 50 anni di attività ci ha regalato una striscia con tutti i suoi personaggi».

Oltre a Bruno Bozzetto anche Fabrizio De André, Maradona e poi Ruud Gullit, Bruno Pizzul, Giacomo Poretti.
«Sì, De André è venuto qui per 2-3 anni quando registrava i dischi, con il suo produttore si fermava a parlare delle sue canzoni. Poi ricordo John McEnroe, gentilissimo, e Ilie Nastase. Noi siamo in una zona con tantissimi alberghi. Per cui venivano da noi in tanti e poi tornavano. Ricordo Mango e Maurizio Nichetti, regista di Stefano Quantestorie, film che ha anticipato un’idea che è stata alla base di molti film successivi, tra cui Sliding Doors. Più recentemente sono passati anche i Pinguini Tattici Nucleari».

In questi 55 anni quali sono i fatti che l’hanno colpita di più?
«Il terrore sulla faccia di un politico quando sono entrati e gli hanno detto che c’era un mandato di cattura per lui. Oppure nel 2002 quando l’aereo da turismo si schiantò sul Pirellone. Avevamo il telefono a gettoni e una coda infinita di persone che dovevano chiamare. Ricordo bene anche l’attacco terroristico alle torri gemelle nel 2001. Da noi c’erano tutti i piloti della United Airlines, ma tutto nel mondo si era bloccato e così non poterono pagare con la carta, abbiamo fatto credito a tutti per 2-3 giorni. Poi quando sono ripassati a Milano ci hanno pagato. Ma non è quello che importa. Per noi ristoratori la cosa più bella è vedere uscire il cliente soddisfatto».

Tiene molto essere definito ristoratore.
«Sì, perché il ristoratore non è un imprenditore. Il primo cura l’accoglienza del cliente, chiede educazione al personale, tiene alla pulizia, il mangiare viene di conseguenza. Al secondo non importa molto del personale. E, anche se il cameriere non sa fare nulla va bene lo stesso. E aggiungo…».

Prego.
«Se noi ristoratori facessimo il calcolo delle ore lavorative e le paragonassimo agli incassi, ne uscirebbe “il nulla” (come guadagni). Noi passiamo tantissime ore nel locale e cerchiamo di far trascorre del buon tempo anche al cliente. A volte, io dico che il ristoratore diventa anche un attore: davanti al cliente abbiamo sempre il sorriso».

 

 

IL FUTURO DEL CERCHIO

Nonostante il mancato rinnovo del contratto di locazione Riccardo Donati non si abbatte. Passerà le prossime settimane a cercare un nuovo luogo per la trattoria, visto che sua figlia vorrebbe restare nella ristorazione. Non senza timori, però, perché Milano «per le attività a conduzione famigliare è diventata impossibile. Una famiglia fa fatica a gestire tutto. Senza dimenticare la burocrazia», sottolinea Donati, che insieme ad Alfredo Zini, che per Confcommercio è presidente delle botteghe storiche della città, ha intenzione di scrivere un volume sulla cucina toscana a Milano.

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